Autore: Dario Villa | 22 June 2022
Parlare di complessità e progetto chiama in causa la relazione fra l’incommensurabile che ci circonda e l’umano sforzo di rapportarsi a esso con gli strumenti del definire, descrivere e misurare - in breve: tracciare linee. A proposito del tracciare linee, è un maestro di quest’arte come Albrecht Dürer a guidarci verso un’utile divagazione.
All’inizio del 1516, il primo rinoceronte mai visto in Europa - proveniente dalle Indie portoghesi - venne imbarcato su una nave diretta dal Portogallo verso Roma, come dono del Re Manuele I per Papa Leone X. Nel corso del viaggio, all'altezza della città ligure di Porto Venere, la nave naufragò a causa di una tempesta. Il rinoceronte, incatenato e impossibilitato a nuotare, annegò tra i flutti, così che nessun altro in Europa poté ammirarlo. Qualche mese prima, Albrecht Dürer aveva ricevuto da un tipografo presente a Lisbona uno schizzo del rinoceronte e conseguentemente realizzato un’incisione. Dürer non aveva mai visto l’animale in carne e ossa, dunque il suo rinoceronte è soprattutto un essere di fantasia: coperto da una sorte di armatura, ha gambe squamose e un piccolo corno sulla schiena. Nonostante le sue inesattezze, l’incisione di Dürer ebbe enorme fortuna e venne presa come modello per illustrazioni, dipinti e sculture fino al XVIII secolo, quando altri rinoceronti giunsero finalmente in Europa e l’osservazione dal vero permise di innalzare il grado di realismo delle raffigurazioni.
Che cosa ha da insegnare questa storia, legata a doppio filo con i limiti della percezione? Conoscenze, rappresentazioni e misurazioni procedono - per parafrasare Karl Popper quando parlava di teorie scientifiche - per “congetture e confutazioni”, vale a dire per progressive approssimazioni - letteralmente: tentativi di avvicinamento - a una materia sfuggente, mutevole e, proprio per via dell’inevitabile mediazione della nostra soggettività, ingannevole. E ciò non impedisce, come mostra la fortuna dell’opera di Dürer, di fidarsi delle approssimazioni. Di più: costruire una cornice è sempre necessario e il bisogno di trovare un orientamento fa sì che le mappe vengano tracciate anche quando si è in possesso di riferimenti lacunosi. E delle mappe ci si può fidare quantomeno finché di esse non emerge una nuova versione, una ulteriore approssimazione. Per aprirsi alla possibilità di rinnovare il proprio orizzonte è necessario allenare uno spirito critico che non tema di mettere in discussione i riferimenti apparentemente consolidati. Del resto, come Herman Melville scrive in Moby Dick: «le mappe mentono sempre, i luoghi veri non esistono mai».
Il progetto ha una origine simile a quella di qualsiasi altra mappa o rappresentazione: necessita di partire da una interpretazione che possa fungere da orientamento, per poter definire una cornice. Fidarsi di essa è necessario, metterla in dubbio è doveroso. Esplorare e aggiornare il progetto comporta un continuo confronto con la complessità che si dipana di fronte alle attività stesse. Cessare di mettere in discussione i riferimenti e le coordinate di un progetto nel suo svolgersi è pericoloso quanto smettere di chiedersi come sono fatti i rinoceronti. Questo perché il rischio di innamorarsi di una rappresentazione affascinante ma inadeguata è molto alto, così come quello di perdere l’umiltà che spetta a chi non può che procedere per approssimazioni.
Ogni pratica umana è immersa in una complessità che non può essere gestita ma - come dicono i suoi più saggi studiosi - fra cui spicca il filosofo Mauro Ceruti - al più “abitata”, con uno sforzo di continua esplorazione che permetta di vivere in armonia con essa. Quindi, quando si pensa al project management e alla sua relazione con la complessità, meglio lasciare perdere il controllo e pensare piuttosto al rinoceronte di Dürer.