Autore: Giovanni Lastoria | 17 June 2022
Storie di sport e di atleti viste dalla prospettiva di un Project Manager.
Nel primo racconto della serie “Storie di sport e di atleti viste dalla prospettiva di un Project Manager” abbiamo raccontato di “Resilienza”, ma nel PMBOK Guide questa parola è praticamente indivisibile da un secondo termine che è “Adattabilità ” e dato che un PM non può mai lasciare un task o un progetto incompleti, oggi andiamo a colmare questo gap.
Una definizione che ho trovato della parola adattabilità la descrive come la capacità di adeguarsi ai mutamenti della realtà. Oggi avere una buona capacità di adattamento è ritenuto una caratteristica importante in ambito lavorativo. L’adattabilità rientra tra le più apprezzate capacità classificate come soft-skill di una persona. Fino a una decina di anni fa questi elementi del carattere personale contavano relativamente, oggi molte aziende danno una priorità maggiore a questi aspetti, preferendoli anche a specifiche conoscenze legate al ruolo che stanno cercando. Tutto ciò non dipende solo dal fatto che il mondo in cui viviamo è in costante evoluzione, ma anche dalla velocità con cui questo continuo mutamento si manifesta, ciò ha portato l’adattabilità ad essere una caratteristica essenziale della cassetta degli attrezzi non solo del Project Manager, ma in generale un po’ di tutte quelle figure professionali che hanno tra le proprie responsabilità, quella di confrontarsi con team e ambienti molto eterogenei. Amazon, bitcoin, virtual-team, cloud solution, smart working, poi pandemia, lockdown e adesso anche metaverso pensiamo a quanto questi termini solo negli ultimi tre anni hanno condizionato e modificato il nostro modo di lavorare e in generale di vivere. Quindi, che ci piaccia o meno, questa parte del mondo ha preso questa direzione e quello che richiede per stare in scia non è certo la conoscenza approfondita di ognuno di essi, ma la capacità di sapersi muovere attraverso diversi ambiti di conoscenze e tecnologie, cercando di stare al passo. In sintesi, quello che è richiesto è una buona capacità di adattamento.
Legati al tema dell’adattabilità, si possono trovare articoli che parlano di “Adaptive leadership”, definita come la capacità di gestire le sfide, adattandosi in un ambiente in continua evoluzione. In un interessante TED Talk, Natalie Fratto, Managing Director per la Silicon Valley Bank, definisce invece l’adattabilità, come una forma specifica di intelligenza che lei misura attraverso un Quoziente di Adattabilità (QA) e utilizza questo valore come primo criterio di scelta quando deve valutare se assegnare un finanziamento ad un potenziale fondatore di una nuova start-up (https://youtu.be/xJM_CQN8-ns)
Scorrendo tra le pagine del nostro PMBOK Guide, quando si parla di adattabilità ritroviamo bene o male gli stessi contenuti accennati sopra, in aggiunta però si può consultare un’utile lista. (Noi PM troviamo sempre il modo di piazzare una check-list da qualche parte). Vi si possono trovare una serie di funzionalità che aiuterebbero a migliorare questa capacità all’interno di un team di progetto. Tra i diversi suggerimenti uno in particolare mi è sembrato interessante :lavorare su feedback veloci per adattamenti immediati.
Il parallelo di oggi ci porta in un ambiente umido e pieno di cloro, un luogo in cui l’elemento dominante è l’acqua, un liquido. Ne nasce un paradosso interessante a mio avviso : l’acqua, un liquido, per definizione l’elemento che si adatta ad ogni contenitore che la contiene, ma la stessa acqua è l’elemento in cui la maggior parte degli uomini non riesce ad adattare i propri movimenti. Per andare a capire come funzionano le cose, mi sono fatto aiutare da una persona che vive praticamente in simbiosi con il mezzo, lui passa diverse ore della sua giornata, in acqua. Qui vicino a me c’è Mauro Lanzoni, prima di parlarvi di lui però vi voglio raccontare di come i nostri percorsi, meglio il mio percorso ha incontrato il suo.
Quando qualche anno fa quando ho iniziato la mia esperienza nel triathlon, ho dovuto ritrovare la mia confidenza con l’acqua. Ora, il mio cv di acquaticità era davvero scarso, potevo contare su un corso di nuoto all’età di 10 anni, nemmeno completato, le classiche due bracciate al mare d’estate, attenti a non andare nemmeno troppo in là perché “non si sa mai cosa c’è sotto!”. La mia indole, mi porta spesso a pensare che posso sempre fare da solo, quindi ho iniziato ad allenarmi in piscina, ma facevo una fatica enorme, mi sentivo pesante, la respirazione non era fluida e capitava che mi dovessi fermare a metà vasca, perché perdevo il ritmo del respiro. Se riuscivo a completare dieci, dodici vasche di fila, era già molto. Ora, se vai in piscina per fare un po’ di moto, potresti anche accontentarti, ma se ti devi preparare una gara con 1900 metri di nuoto continuato e in acque libere, l’approccio deve essere diverso, quindi avevo un problema ed è lì che ebbi la fortuna di incontrare Mauro.
Mauro Lanzoni ha praticato nuoto agonistico a livello nazionale per quindici anni. Ha ricevuto diverse convocazioni in nazionale, nel periodo in cui iniziava a frequentare quell’ambiente un certo Rosolino che Mauro definisce come uno di un altro pianeta. Da agonista è salito diverse volte sul podio, sfiorando anche i giochi olimpici. Non ne sono sicuro, ma nei giorni scorsi riflettevo che probabilmente proprio il fatto di aver provato per anni un ambiente di altissimo livello e non essere riuscito a “sfondare”, come solitamente commentano i più forti atleti da divano, gli ha permesso di elaborare l’idea del progetto che da qualche tempo, lo vede impegnato professionalmente.
Mauro dedica le sue lezioni agli adulti, non importa di quale età, la cosa che conta è che abbiano la voglia di cambiare il loro rapporto con il mezzo, l’acqua. L’approccio di Mauro non si basa sulla prestazione, chi si rivolge a lui non lo fa per andare più veloce, per migliorare il proprio tempo personale. Le persone che si affidano al suo supporto lo fanno perché in maniera più o meno riconosciuta o consapevole, sanno che hanno un problema quando sono in acqua e vogliono trovare una soluzione. Le lezioni di nuoto con Mauro sono una via di mezzo tra una seduta da uno psicoterapeuta e la lettura condivisa del Bushido, il codice d’onore dei guerrieri Samurai. In una sua lezione Mauro non ti dirà mai: “…fammi 400m, stile libero sotto 1,40 sui cento”, ma probabilmente ti suggerirà di sentire i flussi d’acqua che muovi con la tua mano e di sfruttarli. Una lezione di Mauro Lanzoni non finisce mai quando esci dalla vasca, ma continua nello spogliatoio mentre ti stai rivestendo, quando riprendi la strada per tornare a casa e riprende dallo stesso punto quando stai per prendere la strada per l’allenamento successivo, mentre stai indossando il costume nello spogliatoio, fino al momento di rientrare nuovamente in vasca. Quello su cui Mauro lavora è il migliorare la capacità di adattare il tuo corpo con le molecole di acqua, fino ad ottenere il tuo, e solo tuo, miglior risultato di adattabilità nel fluido.
Allora Mauro, perché mentre tutti si dedicano ai bambini e ragazzi, tu hai scelto di dedicarti al mondo degli adulti?
“Beh! Innanzitutto, perché non devo poi relazionarmi con i genitori – risatina – Sai, mi sono reso conto con il tempo che il mondo sportivo degli adulti è molto sottovalutato. Eppure, gli adulti che praticano sport sono moltissimi, solo che nella maggior parte dei casi lo praticano male. Mancano alla base i concetti primari dell’allenamento e c’è spesso molta approssimazione.”
Che tipo di persone si rivolgono a te e per quale motivo?
“In generale sono spesso persone che vogliono migliorare le loro prestazioni nel nuoto, molte volte si presentano così. Io alleno diversi triatleti anche di un certo livello che in mente hanno sempre come riferimento il tempo; quindi, cercano il mio supporto con l’obiettivo di migliorarlo. Poi pian piano vai ad approfondire e scopri che c’è sempre qualche aspetto che li blocca e che non gli permette di avere un rapporto più consapevole con l’acqua. Alcuni te lo dichiarano, ho avuto casi di persone che avevano davvero paura dell’acqua o di trovarsi a nuotare in acque libere. Altri invece non se ne rendono nemmeno conto e si danno delle giustificazioni legate ad un problema di prestazione o di gesti tecnici.”
Quindi diciamo che il tuo modo di lavorare non è proprio standard, come possiamo definirlo?
>“Diciamo che per me non è stato facile trovare un’identità, ho girato diversi impianti e provato diverse collaborazioni, ma ho trovato sempre grosse difficoltà a far passare certi concetti. Il lockdown mi è servito per raccogliere e mettere ordine nelle mie idee e da un annetto sto lavorando ad un mio progetto che si chiama “Swim in action”. Alla base è un progetto divulgativo, infatti sto pubblicando contenuti legati al nuoto, sui più classici canali social. Questo costituisce la base del mio progetto, su cui far crescere la mia filosofia di allenamento nel nuoto. Contemporaneamente ho aperto una mia società sportiva che ha lo stesso nome del progetto, dove ho creato una squadra di nuotatori master che stanno già partecipando a diverse gare. L’obiettivo qui è quello di ottenere qualche risultato, così da farci conoscere e quindi promuovere anche l’idea del progetto.”
Ah! Attenzione, non fatevi ingannare, quando Mauro dice che la sua squadra master partecipa a “qualche gara” e che l’obiettivo è “qualche risultato”, non intende esattamente la gara dei papà, al villaggio turistico per aggiudicarsi il gioco caffè dopo l’abbuffata del pranzo. No, Mauro e i suoi atleti partecipano ai campionati italiani e/o europei Master di nuoto e il cinquantenne che ho di fronte ha da poco stabilito il nuovo record italiano sui 50 metri farfalla, proprio nella categoria Master, con il tempo di 26,69 secondi (il record italiano in assoluto su questa distanza è solo di 3,48 secondi più basso).
E allora proviamo ad entrare un po’ più nel cuore della tua filosofia che per altro io già conosco, per averla provata direttamente. Mi riassumi i concetti fondamentali?
“Quello che Io capito in questi anni è che con gli adulti lavorare sull’aspetto mentale, piuttosto che su quello della prestazione porta a risultati migliori. Molte delle persone che si rivolgono a me tornano al nuoto dopo diversi anni che hanno smesso, oppure sono completamente senza esperienza perché hanno fatto altro. Sono persone che hanno già messo in gioco molto di loro stessi, già solo prendendo questa iniziativa; quindi, non puoi allenarle come si allena un adolescente. Per permettere loro di trovare il miglior adattamento in acqua è necessario metterli nelle condizioni di capire dove sbagliano, affinché possano capire l’errore e riescano da soli a trovare la soluzione. Il mio compito, quindi, non è quello di correggerli nella tecnica, certo c’è anche quello, ma è più di aiutarli a capire perché reagiscono con un certo movimento, piuttosto che un altro, in determinate situazioni. Ti faccio un esempio pratico che faccio quasi a tutti, la maggior parte delle persone ha paura dell’acqua, paura di annegare, di cadere, di non respirare, allora io chiedo loro di provare a restare il più possibile sul fondo della piscina. Sai cosa fanno i più? Prendono una bella scorta d’aria, si buttano e poi iniziano a smanettare velocissimi per andare più in fondo possibile, ma spesso sul fondo nemmeno ci arrivano. La soluzione invece è esattamente l’opposto, buttare fuori tutta l’aria e automaticamente ci si ritrova sul fondo della vasca e lì puoi stare fin che ne hai. Questo ti fa capire come l’istinto prende il sopravvento quando sei in un ambiente in cui non ti senti a tuo agio,in sostanza non hai fatto i passi giusti per adattarti alla nuova situazione. Io vado a lavorare su tutti questi aspetti”.
Però non è detto che tutti si sappiano adattare in acqua…
“Hai toccato un punto interessante! Ora dirò una banalità, però purtroppo come molte cose è spesso solo una questione di volontà. Il mio lavoro è esattamente quello di rendere coscienti le persone di come possano interagire con l’acqua, un mezzo che fondamentalmente non conoscono. Quello che io cerco di far capire ai miei atleti è che devono acquisire una conoscenza diversa del loro corpo. Fino a che non c’è questa nuova presa di coscienza, di percepire l’acqua e di adattarsi nel fluido in maniera diversa, il risultato non arriva. Quindi io vado a lavorare dando dei piccoli obiettivi alla persona, così da far crescere man mano una nuova percezione, un nuovo modo di sentire. Quello che voglio è che le persone arrivino a farsi delle domande e provino soluzioni diverse e una volta trovata la soluzione, ancora una nuova domanda. In questo modo ogni nuovo concetto diventa un’esperienza personale, una percezione nuova e alla fine del percorso mi ritrovo con delle persone che sono molto diverse da quando si sono presentate. Io vedo che questo porta ad una soddisfazione maggiore, più di un miglioramento di qualche secondo sui 100m.”
Ora proviamo a muoverci nella parte più olistica dell’insegnamento di Mauro, quella parte che mi teneva appoggiato a bordo vasca a volte per venti, venticinque minuti su una lezione di un’ora. Si, si avete capito bene e potete anche darmi quell’appellativo classico del milanese imbruttito, pagavo un’ora di lezione per passarne la metà o quasi a bordo vasca, ma vi posso assicurare che quelli sono stati i momenti in cui ho appreso i concetti più importanti che hanno cambiato completamente il mio modo di nuotare. Qualche minuto di silenzio, per cortesia, perché Mauro ci sta per parlare dei flussi.
“L’acqua è un veicolo che ti destabilizza anche se ognuno di noi ha vissuto per nove mesi in un liquido, non è un mezzo che sentiamo come naturale. Tutti in genere pensano che nuotare vuol dire far passare la mano sopra la superficie dell’acqua e che la sua spinta poi ti faccia avanzare in vasca, in realtà non è la mano che crea la propulsione, ma è il tuo corpo che passa sopra una serie di flussi d’acqua. A cercare questi flussi è la sensibilità della tua mano, percepire l’acqua in questo modo non è né semplice né immediato, ma fino a che non sviluppi questa sensibilità non riuscirai mai a trovare quelli che chiamo punti d’appoggio e fino a che non li troverai, il tuo movimento in acqua non sarà mai fluido e non si avvicinerà al suo limite di adattamento.
Se poi noti, molti nuotano tenendo la mano rigidissima, quasi fosse un remo. Anche questo atteggiamento non ti aiuta a sviluppare la sensibilità, è come se corressi con degli zoccoli di legno, non sentirai mai il terreno e il tuo piede non si adatterà mai ad esso. Prova a pensare proprio alla corsa, le dita del tuo piede non sono mai rigide, ma si adattano per dare equilibrio e poi forza per la spinta che applicherai al passo successivo. La stessa cosa accade in acqua, solo che ci sono un po’ di differenze. Innanzitutto, l’ambiente, sei circondato da un liquido e non dall’aria, sei in posizione orizzontale e non verticale; tuttavia, le tue abilità motorie sono comunque sempre lì, non sono sparite. Solo che ti dimentichi di averle, questo perché l’acqua crea una sorta di interferenza nella tua mente e, quindi, non sai più cosa devi fare e a quel punto il tuo corpo agisce per una sorta di istinto di sopravvivenza. Molti hanno letteralmente paura di cadere o di annegare, quindi reagiscono tutti allo stesso modo, tirano su la testa e così rallentano. Mentre c’è un punto di equilibrio che ognuno di noi ha da scoprire che si trova indicativamente tra i 15 e i 30 cm dalla superficie, se arrivi a trovarlo ti accorgi che puoi scivolare ad ogni bracciata. La mano poi deve entrare in acqua morbida, con le dita naturalmente aperte, né troppo allargate, né chiuse e sicuramente non rigide. Stando attento a tutti questi gesti hai la possibilità di prendere quei flussi d’acqua e ricacciarli sotto il tuo corpo. Molti poi fermano il movimento della mano appena sotto il petto, mentre si può sfruttare la sua spinta fino a toccare la coscia. Con il giusto tempo, lavorando non solo con le braccia ma soprattutto con la mente, ad un certo punto la persona capisce, inizia a percepire quello che fino a poco prima era solo un insieme di parole.”
Mentre Mauro sta spiegando, ritrovo le stesse sensazioni che ho provato nel momento in cui anche io mi stavo adattando in modo diverso in acqua. Allora, mi viene un’ultima domanda e chiedo a Mauro, da che cosa si accorge che un suo atleta ha capito e fatto suoi i concetti che gli ha spiegato, magari anche più di una volta.
“Quello che ho provato a spiegarti è l’inizio del percorso che io faccio con ogni mio atleta. Cerco ogni possibile strada per stimolare questo tipo di ragionamenti, senza mai forzarli, perché ognuno ha i suoi tempi tecnici di risoluzione. Il miglioramento arriva come sempre nel momento in cui ti rendi conto che stai sbagliando qualcosa, se quel momento non arriva allora bisogna ripartire in un altro modo, con altri esercizi, altre spiegazioni, ma c’è poco da fare in qualche maniera, li bisogna arrivare. Quanto tempo ci impiega la tua mente a dare il comando giusto al tuo corpo? Dipende da quali domande ti fai. Quando arriva quella giusta allora solitamente parte un loop di continui piccoli miglioramenti, di feedback che la persona riceve e di conseguenti nuovi adattamenti. Allora le domande iniziano ad avere senso diverso e così le risposte, le elabori, non erano quelle giuste e allora riprovi, fino a che non trovi quella che ti fa capire.
Quando questo momento avviene, beh! Ci sono due modi per capirlo, come allenatore vedo i miglioramenti dei miei atleti osservando come si muovono in acqua, ma c’è una situazione in particolare, in cui tutto il lavoro svolto viene ripagato ed è quando un mio atleta esce dall’acqua e mi guarda in maniera diversa, con una luce diversa negli occhi, li capisco che ci siamo e spesso non c’è bisogno nemmeno di tante altre parole.”
Provo a chiudere gli occhi e mi ritrovo in vasca, a pochi metri dal bordo sto tirando le ultime bracciate, il mio braccio è in alto, la mano morbida pronta ad entrare in acqua, il suo impatto è leggero ed è pronta a spingere indietro i flussi d’acqua su cui il corpo sta già scivolando. Lavoro con gli addominali, per far sì che il punto d’entrata sia più in là possibile, così da prendere ancora più flussi e seguire la scia che già la bracciata precedente ha generato. Tocco il bordo, ritrovo la posizione verticale, un occhio al nostro cronometro, il tempo è ottimo, il respiro ancora affannoso. C’è soddisfazione per il tempo, ma deve esserci sempre anche una nuova domanda, quella che mi consentirà di fare un ulteriore miglioramento verso il mio e solo mio limite di adattabilità.
Riferimenti:
https://www.instagram.com/mauro_lanzoni/