PROJECT LIFE CYCLE Iceland F35: Phase 1 – Conceptual

Autore: Giovanni Lastoria   | Dicembre 2023

“A Project Life Cycle consisting of phases that connect the delivery of business and stakeholders value from the beginning to the end of the project”

“A Project Life Cycle consisting of phases that facilitate the delivery cadence and development approach required to produce the project deliverables”

Sono due definizioni che danno una spiegazione di cosa si intende per progetto, meglio del ciclo di vita di un progetto. Se ne possono trovare di altre a seconda del contesto in cui si colloca la parola, la Treccani in uno dei tanti possibili significati, identifica un progetto come un “Proposito vago, bizzarro, fantastico e difficilmente realizzabile” che è poi quello che prima o poi tutti i PM si trovano ad affrontare.

PROJECT LIFE CYCLE Iceland

Quante volte, infatti, abbiamo incontrato un cliente che ci ha parlato di un ottimo proposito, a suo avviso, ma alquanto vago. Quanti sales o responsabili di team ci hanno prospettato progetti bizzarri o fantastici, durante un pranzo di lavoro. Quante volte ci hanno proposto sicure opportunità di crescita, se avessimo gestito quel tal progetto strategico, per l’azienda, col tempo rivelatosi poi irrealizzabile.

Cosa si dovrebbe effettivamente intendere quindi, quando si parla di Project Life Cycle?

Se ci riferiamo ai progetti all’interno di un’azienda, le due definizioni iniziali sono perfette dal punto di vista della teoria. I progetti sono effettivamente una successione di fasi che portano alla realizzazione dell’oggetto definito dallo scopo.

Il ciclo di vita di un progetto, oltre ad essere suddiviso in diverse di fasi, vede coinvolti anche diversi team o strutture aziendali. Un progetto va per prima cosa ideato, quell’idea deve poi essere tradotta in qualcosa di pratico, si tratti di prodotti da assemblare, software da codificare o servizi da organizzare. In ognuno di questi casi serve un team di persone solitamente con competenze elevate che traducano l’idea nel prodotto. Se non è un progetto interno all’azienda, ma spesso anche in questi casi, un progetto deve poi essere venduto. Quindi servono persone che siano in grado di trasferire l’idea che sta dietro una soluzione o che abbiano la capacità di far crescere o nascere il bisogno al potenziale cliente. Solo una volta che tutte queste attività saranno state completate, allora si potrà parlare di esecuzione del progetto. Infine, una volta completata la fase di realizzazione e quindi più o meno centrato l’obiettivo, resta ancora un punto molto importante da considerare, prima che il ciclo di vita del progetto possa considerarsi completato. È il momento di discussione dei feedback. Una valutazione attenta di ciò che è andato bene rispetto a ciò che non è andato o che poteva essere fatto meglio. Le ben note Lessons learned, quelle che i più positivi amano discutere nella “riunione di post mortem” del progetto. Una fase fondamentale nel project life cycle perché, se ben sfruttata, fa partire un altro processo di estrema utilità, quello denominato come continuous improvement, al quale sono demandati la crescita e il miglioramento del prodotto/servizio oggetto del progetto.

In generale, però, la tendenza è quella di parlare di progetto pensando solo alla fase esecutiva, trascurando o non dedicando la dovuta attenzione anche a tutte le altre fasi che intercorrono prima e dopo di essa ed è spesso per questo che molti progetti poi falliscono.

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Se al posto di considerare i progetti in azienda, proviamo a prendere in esame i progetti di vita, probabilmente le cose non cambiano molto. Qui, però, entrano in gioco al meno due componenti in più, intendiamoci bene, queste componenti sono ben presenti anche nei progetti in azienda, ma mi sono accorto che se li si mette in relazione con situazioni che ci toccano un po’ più da vicino, rendono meglio l’idea di cosa voglio intendere. Mi riferisco alle emozioni che giocano il loro ruolo nella gestione di un progetto e al valore percepito di quello che è poi il risultato finale, insomma ciò che si ottiene alla fine del progetto, quello che in sostanza ci resta in mano o che lasciamo agli altri.

Tutti noi portiamo avanti i nostri progetti quotidianamente, progetti di studio, progetti di relazione con un compagno o compagna per costruire una famiglia, progetti di crescita professionale, progetti di investimento finanziario, di costruzione di un’impresa o di creazione di qualcosa. In quanti di questi siamo così metodici da impostare adeguatamente ogni fase preliminare, prima di passare all’effettiva fase di esecuzione?

Probabilmente, nella maggior parte dei casi e per la maggior parte di noi, ci si butta con tutte le energie e con tutto l’impegno possibile, facendoci però molto spesso guidare dall’entusiasmo, dal sentimento, dalla fiducia che riponiamo verso le persone che ci stanno più o meno vicine. Questo modo di agire, molto concentrato su quella che è la fase esecutiva del ciclo di vita di un progetto, ci fa spesso ritrovare a gestire situazioni in cui non ci si sentiamo più a proprio agio, si perde il livello iniziale delle energie iniziali, fisiche, spesso anche finanziarie. Più semplicemente ci si rende conto di aver fatto il passo più lungo della gamba. Si cade e ci si rialza, molte volte ci fa fatica ammetterlo, ma anche questi sono progetti che falliscono.

La realtà, quindi, è che la maggior parte dei progetti, siano essi aziendali (ci sono varie statistiche in merito) o personali, falliscono. In senso ironico, questa serie di fallimenti viene spesso definita come “l’esperienza acquisita”. Allora, perché i progetti falliscono?

Dalle fonti che è possibile recuperare dalla rete, tra le diverse cause di fallimento di un progetto, ci sono quasi sempre almeno queste cinque:

  • Lack of Planning – La carenza di pianificazione o non considerare il giusto livello di dettaglio, certo non aiuta il successo del progetto.
  • Inconsistently Defined Resources – anche le risorse vanno definite correttamente che siano persone, materiali o dispositivi, una mancanza di disponibilità delle risorse non solo in quantità, ma anche nei tempi corretti, può portare al fallimento del progetto.
  • Unclear objectives – spesso si ritiene di aver definito correttamente gli obiettivi, ma altrettanto spesso non li si riesce a raggiungere. Inizialmente si pensava una cosa e alla fine se ne ottiene un’altra. Come ovviare a questa situazione di incertezza? Definendo degli obiettivi che siano misurabili, così da tracciare i progressi durante la fase di esecuzione.
  • Lack of detail control – Il controllo del progetto è fondamentale. Avere il controllo di tempi e budget consente di verificare se si sta andando nella giusta direzione e accorgersi per tempo, se è necessario cambiare rotta. Come per gli obiettivi, bisogna avere dei riferimenti facilmente misurabili e condivisibili con gli stakeholders.
  • Lack of communication – la mancanza di una comunicazione chiara, efficace e con gli strumenti adeguati porta sicuramente ad avere dei problemi di gestione degli stakeholders e alla lunga del progetto.

Bene! Ora che siamo arrivati fino a qui, come leghiamo il project life cycle allo sport?

Lo spunto me l’ha dato un mio caro amico, F. Ogni tanto, io e lui, ci dedichiamo una sera per chiacchierare un po’. Forse anche a causa di un ottimo vino che ci stava accompagnando, quella sera dello scorso novembre, mi dice: “Attraversiamo a piedi l’Islanda?”. Abbiamo evitato che i condizionamenti tannici della serata, prendessero il sopravvento, abbiamo studiato la fattibilità nei giorni successivi e abbiamo fatto diventare l’Islanda, un progetto.

L’idea è nata così, quasi casualmente come spesso accade per le cose che si rivelano poi più interessanti o particolari. Così, considerando quanto abbiamo appena scritto sopra, in merito alle cause di fallimento a favore di una gestione più corretta del project life cycle, proveremo a giocare il ruolo dei diversi team che interagiscono e collaborano alla creazione e realizzazione di un progetto. L’obiettivo sarà quello di consentire al “team di progetto” l’attraversata da nord a sud dell’Islanda.

La teoria vuole che ogni project life cycle sia composto da una successione di fasi attraverso le quali lo scopo del progetto verrà poi realizzato. Allo stesso modo suddivideremo questo resoconto in più parti, ognuna di esse corrisponderà ad una fase ben precisa del ciclo di gestione del progetto. Avremo quindi la fase di definizione del progetto (Phase 1 – Conceptual), la fase di pianificazione/impostazione (Phase 2 – Planning), la fase di realizzazione (Phase 3 – Execution) e alla fine non potevamo chiudere che con la fase di lessons learned (Phase 4 – Termination).  Quattro articoli in cui proverò a raccontare le diverse fasi di avanzamento, “interpretando” il ruolo di tutti gli stakeholders che verrebbero coinvolti, in un ambito aziendale, per gestire le diverse transizioni. L’obiettivo, nascosto, di ogni singolo “ruolo” e in generale del “team” sarà quello di evitare di incappare in uno degli errori classici di fallimento di un progetto. L’obiettivo vero sarà quello di portare me e il mio amico F. a completare il tracking nella terra dei ghiacci e del fuoco.

Premesso tutto ciò, possiamo partire con la prima delle quattro fasi. Una delle più importanti perché definisce gli obiettivi, verifica la fattibilità, stima il budget e il planning iniziali e soprattutto identifica il team di progetto.

 

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Phase 1 – Conceptual – Perché l’Islanda?

 

L’idea di progetto è quella di attraversare l’Islanda da nord a sud, per un totale di circa 260 km in poco più di 10 gg.

Ma perché l’Islanda e non la via francigena o il cammino di Santiago che sono più facilmente raggiungibili.

Per prima cosa volevamo dare un senso di unicità al viaggio, non solo nella meta, ma anche nelle sensazioni su cui ci saremmo misurati. L’Islanda ci è sembrato il luogo che più si avvicinava alla nostra “vision”. L’isola è uno degli ultimi posti colonizzati dall’uomo, è il posto dove la natura è ancora in buona parte aspra e selvaggia, è la terra in cui i quattro elementi della natura si sono in continua lotta per prendere il sopravvento l’uno dell’altro:

Acqua – oltre ad essere circondata dall’oceano è ricca di fiumi, torrenti, cascate, ghiacciai e fonti geotermiche (il solo sfruttamento dell’acqua consenti all’Islanda di coprire il suo fabbisogno energetico per un buon 80/90%).

Fuoco – l’islanda è la terra dei vulcani, se ne contano circa 130 tra attivi e sopiti, crateri classici o semplici crepe nel terreno da cui fuoriesce il magma. I locali definiscono la loro isola in continua mutazione, se la visiti solo un anno dopo la trovi sicuramente modificata.

Aria – I venti caratterizzano la vita dell’isola, in alcuni punti sono stati misurati i venti più forti della superficie terrestre a circa 220 km/h.

Terra – a parte la costa il centro dell’isola si divide tra altopiano e montagne di terra o ghiaccio. L’altopiano centrale, quello su cui svilupperemo il nostro cammino è un continuo mutamento di colori. A seconda degli elementi che compongono il terreno si passa dal verde intenso delle praterie, alla terra di argillosa e sassi che ne fanno quasi un paesaggio lunare. Il terreno diventa color ruggine intenso quando è la componente del ferro che prevale, fino ad incontrare la nera roccia lavica che da una parte va a perdersi nell’oceano, dall’altra si unisce a contrasto con il bianco puro del ghiacciaio. Bianco che assume poi sfumature di un azzurro più o meno intense, mano a mano che ci si addentra nel passato.

Il percorso seguirà verrà definito seguendo una F Road, così sono chiamate le strade sterrate e non percorribili nella stagione invernale. Nello specifico la strada sarà la F35. Partendo dalla località di Blönduós e costeggiando il lago di Svínavatn. Si salirà sull’altopiano centrale, lasciandosi praticamente alle spalle quasi tutto ciò che solitamente associamo al concetto di civiltà moderna. Per alcuni giorni ci sarà da integrarsi totalmente con il territorio e con la natura selvaggia. Proseguiremo tra leggeri sali-scendi fino a passare in mezzo ai due ghiacciai di Langjðkull e Hofsjðkull, si raggiungerà il lago di Hvítárvatn. Se tempi e condizioni lo permetteranno, effettueremo una deviazione verso la cascata di Nýifoss, per arrivare in ultimo a Selfoss, dove torneremo nuovamente in contatto con la realtà quotidiana. In totale circa 260 km da percorre a piedi con zaino in spalla e tutta l’attrezzatura necessaria. Il periodo sarà per forza di cose nella seconda metà di giugno, perché è solo a partire da allora le condizioni climatiche e del territorio, consentono di percorrere la F35 a piedi. Il team sarà composto da due persone. “Per forza di cose!” direte voi, “dove lo trovate un altro pazzo che vi segue!!”. Vi assicuro che è uno dei commenti che ho effettivamente ricevuto e ci sta, ma la ragione non è esattamente quella. Io il mio amico F. ci conosciamo da una vita e abbiamo massima stima e rispetto l’uno dell’altro, pur avendo indole e modi di fare differenti. Abbiamo pensato di allargare il team, ma un team di tre persone, ricade inevitabilmente nella contrapposizione 2 vs 1, in caso di una situazione critica. Il che potrebbe diventare un problema. Un team di oltre tre persone, avrebbe il rischio di mettere d’accordo troppe teste, sia nella fase di pianificazione che di esecuzione. Quindi un team da due ci è sembrata la scelta ideale.

In conclusione, l’idea è di un viaggio che sulla carta si presenta come unico, da conquistare a tappe e il cui valore potrebbe andare ben al di là della pura camminata, in un ambiente con paesaggi e viste mozzafiato.

Unico, fasi, valore, sembra esattamente la definizione di Project Life Cycle. Non resta altro che capire come procedere con l’organizzazione di tutti gli aspetti e lo vedremo nella successiva Phase 2 – Planning.